Filippo MASINA, La riconoscenza della nazione. I reduci italiani fra associazioni e politica (1945-1970), Le Monnier, Firenze, 2016, pp. 241, € 18
Questo accurato lavoro di Filippo Masina si propone di analizzare il fenomeno del reducismo italiano del secondo dopoguerra, come esso si inserì nella delicatissima fase di transizione dal fascismo alla democrazia, quali strumenti furono approntati dallo Stato per far fronte ai bisogni, e alle richieste, di milioni di ex combattenti. Inoltre viene inquadrato il ruolo delle associazioni combattentistiche e il rapporto di questi con i partiti. Il tema preso in esame è di rilevante interesse poiché la bibliografia internazionale è relativamente esigua: l’attenzione da questo punto di vista è stata spesso rivolta al primo conflitto mondiale e nemmeno la storiografia italiana ha sino a questo momento dedicato sufficiente attenzione al tema dei reduci. Secondo gli esperti, la spiegazione di questa scarsa attenzione starebbe nella sconfitta, e nella modalità stessa di azione dell’Italia nel secondo conflitto mondiale. Questo lavoro si basa su intense ricerche prevalentemente su fonti archivistiche conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato, con fondi afferenti a diversi ministeri e ai due principali partiti politici dell’epoca, oltre alla consultazione di alcuni fondi conservati presso un Archivio del Tesoro a Roma, dove sono contenute tutte le pratiche relative alle pensioni di guerra dalla prima guerra mondiale agli anni novanta, per il ragguardevole totale di 40km lineari di fascicoli. Il volume si suddivide in due parti: nella prima viene analizzata la legislazione sui reduci, la seconda invece è dedicata al vasto mondo dell’associazionismo -concentrato fondamentalmente sui due principali sodalizi, ANCR e ANMIG) e ai suoi intrecci con la politica.
Il riassorbimento di oltre 4 milioni e mezzo di mobilitati, soprattutto nel contesto di un paese quasi azzerato sotto tutti i punti di vista, era una questione che andava oltre l’emergenza e che avrebbe impegnato lo Stato per decenni. Per questo, oltre che per imprimere un cambio di passo nelle politiche di assistenza e reinserimento, vennero creato un Alto Commissariato e un Ministero apposito (il MAPB, seppur con vita breve). Vi era inoltre la necessità di approntare un sistema di norme che aggiornassero quelle esistenti, per renderle capaci di affrontare la realtà di un conflitto estremamente complesso e rispondere alle maggiori aspettative nutrite dalla cittadinanza, oltre che ad un welfare che si stava modernizzando. Vi era inoltre un nodo centrale ed estremamente complesso: il trattamento dei beneficiari, e l’individuazione e relativa classificazione degli stessi, data la particolarità del secondo conflitto mondiale in Italia, che vide i cittadini combattere su fronti opposti. Sommariamente, le leggi che segnarono le tappe dell’evoluzione normativa in tema furono la 648/1950, la 14/1955 e il testo unico sulle pensioni di guerra, la legge 313/1968. Sebbene oggi ci sembri qualcosa di assai lontano, la produzione normativa pro-reduci ha fatto parte della consueta attività parlamentare per molti decenni. Sul piano strettamente giuridico, la pensione di guerra cosi come gli altri benefici combattentistici (come le norme sul collocamento obbligatorio), non era un “premio” per aver servito la patria, bensì un risarcimento per la capacità lavorativa o del tempo perduto. Le critiche relative alla lentezza e alla dimensione esigua dei singoli trattamenti costituirono una parte fondamentale del dibattito politico dell’epoca, anche se occorre tenere presente la dimensione gigantesca del fenomeno e il relativo impatto sui conti pubblici. Le problematiche comuni ai “guerrieri di ritorno” non furono estranee ai reduci italiani nel secondo dopoguerra. Essi infatti manifestarono frustrazione per l’immagine che essi avevano di se come “eroi della patria” contraddetta dalle loro condizioni materiali. La stampa combattentistica non mancò di far sentire la loro voce, ma il ruolo centrale lo ebbero le associazioni. Nella seconda parte del lavoro viene analizzato il ruolo delle principali: ANMIG, ANCR e ANRP. Esse furono un polo aggregativo e identitario, ma anche -nei primi quindici venti anni del dopoguerra- formazioni di massa con un peso e un ruolo politico affatto trascurabili, per il prestigio indiscutibile di cui godevano presso l’opinione pubblica, in quanto garanti e custodi della memoria di eventi epocali e drammatici. Oltre a questo, rappresentarono soprattutto un pilastro fondamentale del sistema assistenziale, rappresentando gli interessi dei reduci presso le istituzioni e le parti politiche.
Un lavoro intenso che si propone di analizzare gli strumenti legislativi, il ruolo delle associazioni combattentistiche ma soprattutto vuole far luce su una questione imponente e complessa come quella dei reduci italiani del secondo conflitto mondiale.